Villa Mora
"...Ieri come oggi, l’ex Palazzo Mora è tutto aperto sulla piazza principale del paese. Anziché ostacolarne l’accesso, la sua esedra semicircolare è un chiaro invito a entrare, a sorpassarne la soglia, a inoltrarsi nella corte, a visitare e utilizzare lo storico edificio. Da sempre, quest’ultimo è un “regalo” per Pantigliate. Ha contribuito a fare più “grande” e importante l’abitato: ne ha migliorato l’aspetto complessivo, ha ospitato persone e personaggi che hanno fatto la storia della località, e non solo. È stato, e lo sarà ancor più in futuro, il “fiore all’occhiello” di Pantigliate, da esibire con orgoglio ai forestieri.
Dal novembre 2003, Palazzo Mora è stato un “regalo” a pieno titolo per l’intera cittadinanza: quell’anno infatti, per merito dell’Amministrazione comunale è diventato proprietà pubblica. Allo scopo di impostare il restauro su basi solide e filologicamente affidabili, nel 2004, in via preliminare, si sono ricostruite le vicende passate dell’edificio grazie a un libro curato dallo scrivente, all’epoca distribuito gratuitamente alla cittadinanza e oggi reperibile nelle biblioteche. Si è scoperto così, con felice sorpresa, che sui documenti esso compare verso la metà del Cinquecento, però le sue origini risalgono addirittura più indietro, perlomeno al secolo precedente. Proprietario nel 1540 è il “Magnifico Signore Giovanni Francesco Capra, figlio del fu Magnifico Dottore in entrambe le Leggi Bartolomeo”, pronipote, si crede, di un altro Bartolomeo Capra, dal 1414 al 1433 Arcivescovo di Milano.
Come si presentava a quell’epoca il “Palazzo”? Un contratto di affitto proprio del 1540 lo descrive nel modo seguente: “sedimine uno o sedimini diversi, parte da nobile e parte da massari e da pensionanti, con suoi edifici, camere, cassina, sale, corti, aree, orti e peschiera, giardino”. L’uso era quindi diversificato, con alcuni locali riservati al locatore e altri ai contadini suoi dipendenti. Ai Conti Capra nel Seicento subentrano nella proprietà i Marchesi Clerici, tra i più ricchi di Lombardia e d’Italia, mecenati e committenti di artisti del calibro di Giovanbattista Tiepolo. Sotto di loro, di riflesso, il Palazzo, che ha una perfetta forma quadrata, vive forse i suoi giorni migliori, luogo di delizie e di villeggiatura nel verde della campagna alle porte di Milano; con la “peschiera”, formata da una derivazione della roggia Parazzola, che cinge la proprietà su due lati e ne fa una “riviera” ambita, quasi un’attrazione turistica, oltre che una preziosa riserva di pesca.
Dopo i Clerici, nell’Ottocento i proprietari diventano i Roveda, poi i Vittadini, e nel 1886 Enrico Mora, che al Palazzo lascia il proprio nome. La forma dell’edificio ha ormai assunto l’aspetto attuale, a ferro di cavallo, affacciato sulla piazza comunale, accanto alla chiesa. Il 18 novembre 2003 Liliano Mora, nipote di Enrico, accoglie le sollecitazioni dell’allora sindaco Ottavio Carparelli e della Giunta municipale e cede l’immobile al Comune. La grande sensibilità delle parti in causa, la buona volontà reciproca, hanno reso possibile il raggiungimento di questo obiettivo, lungamente atteso dalla cittadinanza. Sbrigate le complesse formalità burocratiche, reperiti finalmente i finanziamenti, a fine 2009 sono partiti i lavori, che la successiva neo “sindaca” Lidia Rozzoni ha continuato a seguire con attenzione ed entusiasmo fino all’imminente inaugurazione. Il progetto e la direzione degli stessi lavori sono stati affidati all’architetto Alberto Geroldi di Milano. “È stato mantenuto - egli dichiara - il linguaggio architettonico originale riportando le aperture alla dimensione primitiva, conservandone tipologia di serramenti e imposte; sono stati invece introdotti due nuovi elementi caratterizzanti: una nuova porzione, con le funzioni di ingresso secondario e di distribuzione particolare e, sulla facciata principale, una doppia parete vetrata che ha funzioni di atrio a piano terra e disimpegno al piano primo per meglio utilizzare lo spazio esistente”. I risultati sono adesso sotto gli occhi di tutti: un complesso di edifici tornati all’antico splendore, in cui la tradizione si è “sposata” all’innovazione; si sono salvaguardate le preesistenze architettoniche di pregio, innestandovi soluzioni tecniche di avanguardia - per esempio l’acciaio e le mega-vetrate di cristallo sulla fronte -, non trascurando l’estetica. Motivo per me di particolare soddisfazione è stato lo svelamento, nell’ala occidentale, di una mastodontica stupenda colonna in granito che era stata murata e occultata alla vista in epoca imprecisata, ma di cui io avevo trovato traccia su documenti del Settecento, segnalando nel volume anzidetto.
Sistemati i fabbricati, in un secondo tempo, finanze permettendo, occorrerà intervenire appieno sul retrostante ampio giardino, in modo da renderlo anch’esso interamente fruibile dalla popolazione. Già ora però, questo “nobile” comparto di Pantigliate, come si diceva all’inizio, è motivo di somma soddisfazione per tutti quanti; a chi si è prodigato a vario titolo per la sua realizzazione e valorizzazione, per il riuso a fini sociali e politico-amministrativi, credo debbano andare i migliori, unanimi apprezzamenti..."
Prof. Sergio Leondi